Hackatao: la Via del gioco, di Silvia Braidotti

Il variegato e complesso mondo della crypto art, una combinazione della tecnologia blockchain con il fare creativo di artisti emergenti, sta velocemente prendendo piede nel panorama contemporaneo, producendo – fra gli altri effetti – una sovversione delle consolidate logiche del mercato tradizionale (su questo vedi, in Art’usi, il post di Maria Stella Bottai).
Tra i crypto artisti italiani, spicca il duo Hackatao, formato da Sergio Scalet e Nadia Squarci, la cui storia inizia ben prima dell’approdo alla “catena di blocchi”.
Nati nel 2007 da un sodalizio lavorativo ed affettivo, il loro percorso si salda sin dal principio su una ricerca anticonvenzionale. Nadia, originaria del Friuli, e Sergio del Trentino, si incontrano a Milano, ravvivando vicendevolmente una comune passione per il mondo dell’arte, intrisa di riferimenti ludici.


Le loro produzioni si fondano sul lavoro di squadra, attitudine che trova le sue radici nel periodo infantile di entrambi, in particolare di Sergio Scalet, cresciuto nella malga di famiglia, fra gli stimoli ambientali e l’invenzione collettiva. Nell’intervista condotta da chi scrive, Sergio sottolinea come la base delle attività che si svolgevano in montagna non fosse la competizione, quanto la creatività e l’immedesimazione: ragionando sulla scia di Roger Caillois, ci si accorge dunque che la 
mimicry  era preferita all’agon.
Un’altra attitudine ludica portava l’artista a smontare i giochi ricevuti da bambino nelle loro parti componenti per rimontarli in qualcosa di nuovo e inedito: una simile vocazione al rimontaggio si rintraccia in fondo anche nella scelta del nome Hackatao, che è il risultato della crasi di hacker, inteso come colui che supera proficuamente le sfide per mezzo della creatività, e Tao, con cui si individua lo spazio di azione dinamico del gruppo.
Ancora dalle memorie d’infanzia, riemerge la raccolta, nei pascoli, di legni adatti all’intaglio, sagomati in figure inventate da accompagnare agli omini snodabili creati col filo di rame. L’evoluzione di questi personaggi la si ritrova nei protagonisti delle prime produzioni Hackatao, ovvero i Podmork.


Tutt’ora uno dei fulcri della loro ricerca immaginifica, i Podmork sono delle piccole creature in ceramica smaltata o resina dalle forme morbide, bizzarre e multicolori. Esseri provenienti da un universo sconosciuto ma non nato per caso, ogni Podmork è concepito da Sergio e Nadia come frammento di un’opera unica, ridotta in frantumi per mezzo di una “schizofrenia pop”. Prendendo in prestito i termini di Georges Perec (La vita istruzioni per l’uso) si potrebbe dire che i Podmork siano “una frazione dell’insieme come parti di un puzzle. Solo i pezzi ricomposti assumeranno un carattere leggibile, acquisteranno un senso: isolato, il pezzo di un puzzle non significa niente; è semplicemente domanda impossibile, sfida opaca”. Inoltre, vengono concepiti come scultura “pret-à-porter” e ognuno è fornito di una podbag per essere tenuto al collo, una sorta di evocazione alla lontana del Tamagotchi.
La produzione di queste opere è progredita nel corso delle esperienze della coppia, anche quando, nel 2011,  gli Hackatao hanno scelto di trasferirsi nel piccolo borgo di Oltris, nell’alto Friuli.
Potrebbe apparire paradossale che in questo contesto vagamente anacoretico, l’orizzonte artistico degli Hackatao si sia proiettato nel campo della crypto art. 

Sergio ricorda nostalgicamente l’arrivo dell’Amiga 500, lo stesso computer di Andy Warhol, con cui – forse in parallelo alla leggenda della pop art – sono iniziati i primi esperimenti con software digitali. Gli stessi mondi virtuali ricercati in adolescenza nei videogiochi, nell’esperienza adulta guadagnano nuovo spazio inventivo in ambiente crypto artistico.

Le più recenti opere del duo  sono legate alla tecnologia blockchain e si possono ammirare e comprare, uniche nel loro token, attraverso le principali piattaforme online del momento come SuperRare e KnownOrigin. Il token è un codice crittografato legato indissolubilmente all’opera, ne sancisce la singolarità in fase di immissione nella rete peer-to-peer e ne determina il passaggio di proprietà, una volta acquistata da un collezionista.
Saggiando dunque le nuove prospettive, anche animate, della blockchain, gli Hackatao si sono fatti largo fra le gallerie digitali, con uno stile inconfondibile che trova echi solo in alcune opere di Takashi Murakami. Nell’ultimo anno, sono approdati anche in Cryptovoxels, una galleria online i cui mattoncini costitutivi ricordano scenari alla Minecraft o i più tradizionali Lego, tanto amati da Sergio che ancora sole giocarvi assieme alle figlie.

Tra i significati della parola Tao, Lao Tzu identifica il concetto di Sentiero: si può dunque affermare che gli Hackatao, incrociando la Via del gioco, del pop, del surreale, stiano continuando a costruire la loro singolarissima strada con un’energia e un dinamismo tutto in divenire.

Silvia Braidotti, luglio 2020

Il materiale contenuto in questo articolo è frutto della rielaborazione di un’intervista a Sergio Scalet, svoltasi l’11 maggio 2020, a cura dell’autrice; si ringraziano gli artisti per la disponibilità e per il permesso alla riproduzione delle immagini.