Gianluca Malgeri e il playground project (di Gaia Mancini)

 “Ricordo un momento passato con mio padre: lui stava aggiustando lo scarico del bagno e io, che ero seduto accanto a lui, ho raccolto gli ingranaggi di plastica da lui scartati e sostituiti, li ho assemblati, costruendo una pistola. Per un attimo, ed è quello un ricordo ancora vivido, ho avuto la sensazione di prendere coscienza della potenzialità creativa che fino ad allora non conoscevo: costruire cose usando la fantasia.”

Queste parole di Gianluca Malgeri, nato a Reggio Calabria nel 1974 e formatosi fra l’Accademia di Belle Arti di Firenze e l’Università IUAV di Venezia, introducono bene alla sua figura e alla sua attività d’artista.
Dal suo ricordo, condensato in poche righe, emergono elementi ricorrenti tanto nel gioco infantile quanto nel suo lavoro: il tema della costruzione o meglio riconfigurazione, l’assemblaggio, il modulo, l’inventare, l’immaginare, il “fare finta che”. In molta parte della sua ricerca artistica, Malgeri gioca a ricomporre la realtà in modi inusuali, non inventa le sue opere quanto i procedimenti di realizzazione, creando sempre nuove modalità di scomposizione e ricomposizione della realtà. Tale metodologia progettuale emerge in modo significativo in Playground Project.

Il progetto nasce da intuizioni, interessi e viaggi che, dopo un periodo di gestazione, sono stati tradotti in opere esposte per la prima volta nella mostra collettiva Edge of Chaos (Expelled From Paradise) nel 2015 a Casa Donati, Venezia.
Playground Project si sviluppa principalmente fra tre città molto diverse e lontane fra loro, geograficamente e culturalmente: Nuova Delhi, Berlino e Tokyo. In realtà già a Copenaghen, nel 2006, Gianluca Malgeri e l’artista giapponese Arina Endo (sua collaboratrice) si erano imbattuti in qualcosa che aveva catturato la loro attenzione, ma sarà solo nel 2013, a Nuova Delhi, che l’idea di un progetto come Playground Project inizierà a prendere forma. L’interesse primo e forse scatenante di questo lavoro sono gli architetti che negli anni ’60 e ’70 si sono occupati del playground, ovvero quel luogo all’interno del tessuto urbano solitamente dedicato ad attività ludiche e ricreative in particolar modo dell’infanzia. Playground non solo come gioco di bambini ma come sospensione del paesaggio-città, come spazio per mettere in atto nuove relazioni fra individui ma anche fra uomo e ambiente metropolitano, luogo di sperimentazione di forme, luogo di creazione e alternative.

          

(Nelle immagini, rispettivamente: Dvynys, Balansas, 2015 collage on paper)

Durante i viaggi intrapresi, Malgeri e Endo hanno iniziato a fotografare le strutture dei playgrounds che incontravano creando così un vasto archivio documentativo a cui attingere per la costruzione delle loro opere. Le fotografie sono la materia prima da cui vengono estrapolati e isolati i singoli elementi delle strutture (una scala, un’altalena, uno scivolo) per poi essere ri-assemblati graficamente nei collage. I collage a loro volta sono la matrice di sculture in rame saldato, con l’aiuto di un software di rendering in 3D vengono tradotti in strutture fisiche.

Il passaggio cruciale e determinante che dà il senso al lavoro è il processo di riconfigurazione delle strutture dei playground: i collage e poi le sculture sono infatti costruzioni impossibili, non praticabili, non a caso in occasione della mostra romana Homo Ludens nel 2015 presso la galleria Magazzino, le serie di collage e sculture prendevano il nome di Città dei Balocchi.
L’interesse socio-politico di partenza è come se venisse vanificato nella forma, luoghi esistenti e destinati alla fruizione sono trasformati in costruzioni utopiche, in spazi dell’immaginazione.
La mostra citata sopra Edge of Chaos (Expelled From Paradise), curata da Vita Zaman e Nicola Vassel nel 2015,spresentava lavori di diversi artisti che rispondevano in modo creativo a temi tanto sociali come il femminismo e le disuguaglianze, quanto di ordine globale come il cambiamento climatico e la necessità di una svolta ecologica. Le sculture di Malgeri e Endo da una parte partivano dai playgrounds dall’altra prendevano ispirazione dal ciclo di dipinti dedicato ai segni zodiacali dell’artista pittore e compositore lituano Mykalojus Konstantinas Ciurlionis (1875 – 1911).
Ciurlionis inizia la sua carriera come compositore e, quando si iscrive nel 1904 alla Scuola d’arte di Varsavia, intuisce la possibilità di una sintesi fra arte e musica nel tentativo di integrare il colore con la scrittura musicale. Nel ciclo dedicato allo Zodiaco, le costellazioni dei segni fedelmente riprodotte sono immerse in atmosfere oniriche popolate da architetture utopiche. Così le dodici sculture di Malgeri, dodici come i segni zodiacali, conservano il sapore della sinestesia delle arti e del sentimento panico cui auspicava Ciurlionis, e sembrano cercare un’armonia con l’Universo. Tuttavia le loro composizioni vertiginose di torri, scale infinite, scivoli vorticosi e spirali così come i castelli dei collage, in cui ogni parte sembra appoggiarsi sull’altra in equilibrio precario, sono costruite appositamente per far perdere lo sguardo nel suo tentativo di costruire un percorso, di trovare una via di uscita. Poste sul labile confine fra regola e ribaltamento di essa, divertimento e perdita del controllo, le opere esposte in Edge of Chaos (Expelled From Paradise) tracciano strade impervie e labirintiche attraverso cui ritrovare quel Paradiso dal quale, come suggerisce il nome della mostra, siamo stati espulsi.
Quando iniziai a pensare la mostra in galleria – (Magazzino) – nel 2015, avevo da poco fatto una mostra a Venezia e avevo realizzato una specie di Città dei Balocchi, ma si trattava di una città desolata dove non c’erano i giocatori; la riflessione successiva fu di trasformare il gioco in giocatore e il giocatore in gioco”.

Senza Nome, 2015, copper, soldering,  347 x 100 x 300 cm

Sullo stesso limite sottile fra gioco e perdita di controllo si muovono le sculture della serie Città dei Balocchi, non tanto per la loro struttura fisica quanto per il libero riferimento a Pinocchio. Parte della mostra Homo Ludens (Magazzino, Roma 2015) era una scultura enorme, in rame saldato, di un Pinocchio
gigante, perfettamente incastrato fra il soffitto e il pavimento della galleria. Pinocchio è un bravo burattino, ma non gli piace andare a scuola, dice le bugie, scappa, si perde, crede al Gatto e alla Volpe, finisce nel Paese dei Balocchi, non vuole crescere.
Questa attitudine ribelle di Pinocchio viene definita da Carmelo Bene come un “monito a decrescere”. Bene è stato per Malgeri quasi un compagno di viaggio durante i mesi di lavoro e ricerca precedenti alla mostra, il suo adattamento teatrale del Pinocchio di Collodi è stato la colonna sonora di quel periodo. Secondo l’interpretazione di Carmelo Bene, Pinocchio rifiuta eroicamente di crescere, fugge da quel mondo cosiddetto civile ma, aggiunge Bene, disumano in cui vivono gli adulti, fatto di schemi vincolanti, sovrastrutture, para-occhi, regole inamovibili. Tutto ciò permea le opere esposte nella mostra Homo
Ludens: le Città dei Balocchi sono costruzioni utopiche, dirompenti, che rifuggono qualsiasi principio costruttivo ma non per il gusto di farlo, non sono autoreferenziali: vogliono proporre un’alternativa, delle regole diverse attraverso cui vedere ed esperire la realtà che è sempre uguale, ma può mutare se si sposta il punto di vista o se si cambiano le lenti attraverso cui la si guarda.

Senza Nome (Dettaglio), 2015 copper, soldering / 347 x 100 x 300 c

Questo riconduce all’idea del playground come una sospensione del tessuto urbano e dunque come un luogo alternativo alla monotonia della città ma anche e soprattutto alle sculture della serie Expelled From Paradise: torri e castelli appaiono angoscianti e vertiginosi perché non si conosce la lingua in cui parlano, sono dei giochi di cui non si conoscono le regole ma che potenzialmente potrebbero offrirci una nuova prospettiva su ciò che ci circonda

“Prospettiva” si può considerare la parola-chiave della mostra del 2015 a Roma, la scultura di Pinocchio, Senza Nome, nelle sue dimensioni colossali era stata concepita proprio per far vivere allo spettatore uno spaesamento percettivo, in un repentino cambio di prospettiva, per l’appunto, in cui i ruoli di giocatore e giocattolo venivano invertiti. Lo stesso Pinocchio faceva parte di questo cortocircuito per cui il suo corpo e i suoi organi, costituiti di scivoli complessi, scale, montagne russe e altalene, diventavano il suo stesso playground e Città dei Balocchi.

L’ultima tappa del Playground Project è la mostra Merry-Go-Round alla Ayumi Gallery di Tokyo del 2019. Analizzando solo il nome della mostra, espressione inglese per dire giostra, carosello, si capisce come la tematica del gioco sia ancora centrale. In questo caso i riferimenti all’architettura utopica si fanno più forti: New Babylon di Constant Nieuwenhuys, una raccolta di disegni, schizzi, maquette e modellini realizzati fra il 1959 e il 1974, ha generato un importante campo di influenza sul lavoro di Gianluca Malgeri.
Il progetto architettonico di Constant si presentava come una città utopica, destinata ad espandersi su scala mondiale e fondata su due capisaldi: l’anticapitalismo e Homo Ludens (1939) di Johan Huizinga, testo di capitale importanza sulla teorizzazione del gioco come fondamento di ogni manifestazione di cultura. New Babylon era un progetto architettonico planetario concepito per permettere all’uomo di sviluppare in piena libertà la sua attitudine alla creazione e al gioco. Gli spazi avrebbero garantito la possibilità ai suoi abitanti di essere modulati in base alle esigenze del momento, l’ambiente dunque era concepito per essere a servizio del libero pensiero dell’uomo, alle sue necessità creative, ludiche, di movimento e migrazione. La caratteristica prima della riconfigurazione è ciò che ha interessato maggiormente Malgeri e Endo.

Merry-Go-Round #2, 2019 copper, soldering / 65 x 65 x 119 cm

Le sculture presentate in Merry-Go-Round possono essere distinte in due tipi: sculture poggiate a terra e sculture sospese in aria.
Ciò che colpisce immediatamente delle sculture “da terra” è il loro antropomorfismo: alcune hanno come delle gambe o zampe, quasi tutte un elemento circolare sulla sommità che ricorda la testa di una figura umana stilizzata. Anche queste partono dai collage e dalle fotografie dei playgrounds, soprattutto giapponesi e proprio a proposito dei collage è interessante vedere come nel tempo siano cambiati virando sempre più all’astrazione. Partendo dal presupposto che, per Malgeri, il lavoro costruzione dei collage non è particolarmente ragionato ma è un processo quasi casuale che mira a raggiungere un giusto equilibrio fra gli elementi, è evidente come le prime serie di collage fossero legate all’idea di costruire qualcosa che, anche se utopicamente, potesse reggersi su se stessa. Gradualmente i collage iniziano a diventare strutture sospese che non hanno un dritto e un rovescio, ma consentono molteplicità di visione, così le sculture si librano in aria senza sottrarsi al colore derivando in modo naturale dai collage.
Ritornando al tema della riconfigurazione di New Babylon, le composizioni in rame di Malgeri e Endo sono scomponili e ricomponibili in nuove forme rientrando nell’utopia di Constant Nieuwenhuys di una città modificabile in infiniti assetti.
Playground Project nel suo complesso può essere letto come un invito a creare nuovi sistemi di regole partendo da quelle esistenti: radicato nel luogo del gioco, il playground, parte dal presupposto che l’attività ludica sia prima di tutto uno spostamento di prospettiva in quanto attività regolata da leggi indipendenti e spesso in contraddizione con quelle della società.
Con le sue architetture impossibili, si potrebbe dire che il nuovo sistema costruttivo di Malgeri sia volto all’edificazione di uno spazio immaginario, di cui è necessario prendersi cura.
L’immaginazione è il nostro migliore playground, in cui l’artista invita a giocare per guardare la realtà da un’altra prospettiva.
Gaia Mancini (Instagram: @_gaiamancini_)

Le riproduzioni delle opere sono riprodotte per gentile concessioni di Gianluca Malgeri
sito web dell’artista
– account Instagram > @gianlucamalgeri