Un Passepartout per la didattica del 2020 (grazie a Boetti)

Agata Boetti ha scritto nel libro Il gioco dell’arte. Con mio padre Alighiero (Electa 2016) della capacità del padre, l’artista Alighiero Boetti, di trasformare spesso i compiti della figlia in opere d’arte grazie all’esercizio quotidiano della fantasia, e viceversa di condividere con lei alcuni processi creativi, utili allo svolgimento dei compiti nei pomeriggi trascorsi nello studio di Trastevere a Roma. Le sperimentazioni di artisti come Boetti sono frutto del “flusso consonante tra l’esistenza e l’elaborazione artistica”, come scrive Annemarie Sauzeau Boetti in Alighiero e Boetti, Shaman-Showman (Umberto Allemandi, 2001 Torino. Tutte le citazioni di questo post sono prese da qui), e rappresentano una risorsa preziosa per la formazione e la didattica, proponendo metodi di apprendimento innovativi validi ancora oggi.

Lo abbiamo toccato con mano durante un laboratorio al FabLab della Fondazione Mondo Digitale di Roma con gli studenti del corso di Didattica e metodologia dell’insegnamento in Storia dell’arte della Sapienza; ci è stato chiesto cosa volessimo realizzare grazie a quelle macchine a servizio della  didattica digitale – stampanti 3D di varie dimensioni, laser cutter, plotter ecc. – che formano la palestra dell’innovazione, una realtà del territorio capitolino aperta ai cittadini e particolarmente alle scuole. Come docente avevo richiesto un ausilio alle lezioni sull’architettura, la parte più ostica per gli studenti, e una studentessa ha portato alla nostra attenzione il disegno di Alighiero Boetti, Passe-partout (1973), appena studiato nel volume di Annemarie Sauzeau Boetti.

Osservando quella che sembra una macchia di inchiostro nero, “un’ameba a cinque zampe, iscritta in un pentagono perfetto” si cominciano a intravedere negli spazi vuoti le forme di 5 archi secondo i modelli dell’architettura occidentale e orientale: arco romanico, arco gotico a ogiva, arco a tutto sesto, arco islamico e arco bizantino a ferro di cavallo. Il disegno fu pubblicato sulle pagine del Manifesto durante la collaborazione dell’artista con il quotidiano, tra il 1980 e il 1981.

 

Cercata online, salvata e resa vettoriale, la forma di Passe-partout è stata poi inviata dal formatore alla laser cutter, la macchina in grado di incidere o tagliare con il laser vari materiali, nel nostro caso del plexiglas giallo. Il risultato è la resa 3D di un’opera concettuale di Boetti, che abbiamo trasformato in un esempio di direct manufacturing a servizio della didattica.

 

 

Per Annemarie Sauzeau si tratta di uno dei lavori più esoterici dell’artista, “visione mandalica dei passaggi tra le culture”. Un commento di Boetti è indirettamente riferito al disegno:

“Un buon quadro dovrebbe offrire diversi strati: la bellezza (a chi lo guarda deve restituire piacere). Poi un secondo strato, di elaborazione sull’immagine, un sentimento, inquietante o piacevole. Infine la terza dimensione, la più nascosta e difficile da spiegare. E’ come se, scrivendo una parola in nero sul foglio bianco si riuscisse a far vedere la forma bianca che la scritta nera determina intorno a sé. Qualcosa che normalmento non si afferra. Ecco i tre livelli di un’opera d’arte. Corrispondono ai tre livelli di conoscenza secondo l’esoterismo sufi. Il terzo, ben oltre il soggettivismo, è raramente raggiunto”.

 

Passe-partout entrerà così nelle classi dell’anno prossimo come strumento di studio delle volte nel Medioevo; un dispositivo che permette di osservare con occhi nuovi le forme riprodotte graficamente o fotograficamente nei manuali, invitando anche alla rielaborazione personalizzata, coniugando regola e fantasia, la razionalità con l’inatteso.

MSB