Visitare un museo è sempre più un’esperienza corporea. Il caso di teamLab e del Miraikan di Tokyo

I comportamenti dei visitatori al museo stanno cambiando, o meglio, stanno cambiando i musei. Un recente sopralluogo a Tokyo (gennaio 2019) ha messo in luce alcune novità che potrebbero presto interessare anche i nostri spazi espositivi, dove alla passeggiata contemplativa si affiancherà forse un giorno la visita sinestetica e l’adozione di robot per la mobilità personale.

Nella baia di Tokyo, a Odaiba, una specie di quartier generale dell’innovazione, si trova l’edificio Mori Building Digital Art Museum: teamLab Borderless (da non confondere con il Mori Building nel quartiere di Roppongi) dove il collettivo teamLab ha il suo spazio espositivo permanente, due piani di ambienti immersivi ad alta suggestione. Il primo, la Foresta atletica, è un ampio spazio aperto dove è stata progettata una foresta multimediale in cui il pubblico, dai bambini piccolissimi (c’è un’area per far gattonare i neonati in sicurezza) agli adulti possono esplorare, giocare, saltare, rotolarsi, disegnare, immergendosi in una natura digitale in trasformazione continua, sensibile alla nostra presenza: se inserisco un animale nell’ecosistema, se mi muovo a una certa velocità, se mi arrampico seguendo un pattern cromatico, se contribuisco ad arricchire la fauna di un acquario, ricreato in una stanza dedicata.

teamLab Exhibition view of MORI Building DIGITAL ART MUSEUM teamLab Borderless, 2018, Odaiba, Tokyo © teamLab

 

Kazumasa Nonaka, un membro del collettivo da noi intervistato per la mostra inaugurale dell’Amos Rex di Helsinki, nell’estate del 2018 ci spiegava che nel progettare i loro ambienti

“Ci interessa capire come il pubblico interagisce con la natura”

La sensibilità dei giapponesi per la natura ha radici nell’approccio animista e nella cosmogonia scintoista. Appoggiando la mano su una parete della Foresta atletica, dopo qualche secondo, nasce un bellissimo fiore che poi crescerà. Abituati come siamo a sentirci responsabili della distruzione del pianeta con le nostre azioni, vedere che possiamo, almeno idealmente, almeno qui, per una volta, far nascere qualcosa di poetico è già di per sè una nuova percezione del nostro essere nella natura.

teamLab Exhibition view of MORI Building DIGITAL ART MUSEUM teamLab Borderless, 2018, Odaiba, Tokyo © teamLab

Il piano terra presenta invece una serie di ambienti più vari, dalla cascata nella foresta (foto sotto) agli ologrammi interattivi danzanti alle sculture di luce. Questa sezione è quella più vicina a una visita museale abituale, dove il corpo è meno coinvolto, meno sollecitato al movimento, ma si chiamano in gioco la vista, l’udito (la musica e i suoni sono un elemento importante delle loro installazioni), le sensazioni tattili, così come l’orientamento – o meglio, il disorientamento – ed alcuni stati emotivi: meraviglia, stupore, talvolta inquietudine, curiosità.

teamLab Exhibition view of MORI Building DIGITAL ART MUSEUM teamLab Borderless, 2018, Odaiba, Tokyo © teamLab

 

Si tratta di arte? Può l’edificio di teamLab a Tokyo definirsi un museo? Secondo la nostra concezione attuale dei musei, solo in parte. Le categorie classificatorie, i valori a cui ci affidavamo per definire cosa è arte e cosa no non sono più adatti. Se la mostra all’Amos Rex ha avuto un grande riscontro di pubblico, tanto da creare lunghe code anche sotto la neve, si tratta pur sempre di un’esperienza di visita volutamente diversa dalla visita a una mostra tradizionalmente allestita o alla collezione di un museo. Se in quest’ultimo spazio si predilige spesso la chiarezza espositiva e la leggibilità delle opere, qui lo scopo è il disorientamento, la perdita dei punti di riferimento, una vertigine momentanea innescata per permettere al visitatore il totale abbandono all’esperienza della ‘meraviglia’, fine del poeta in età barocca. L’immersione in un illusorio mondo naturale, realizzato con un imponente apparato tecnologico fornito dalla Epson, è totale e sempre mutevole, proprio come è la natura. Come ho avuto occasione di scrivere in Economia della cultura n. 3 del 2018:

Gli ambienti di teamLab sono figli dei videogiochi, per certi versi sono dei videogiochi. Lo spettatore/giocatore con la sua presenza attiva situazioni di gioco […] come se fosse in un enorme magnifico tamagotchi 3D. Se potessimo esaminare il DNA culturale dei creativi del collettivo giapponese vi troveremmo un mosaico di stimoli: dall’animismo orientale (il tema dei loro lavori è spesso la natura) all’industria degli anime, dagli ambienti interattivi di pionieri come Jeffrey Shaw alla cultura videoludica. Un misto di risorse che produce una mostra d’arte che è anche, forse soprattutto, un grande gioco immersivo.

Durante i giorni di Capodanno, settimana di festa per i giapponesi, i visitatori erano prevalentemente giovani e famiglie con bambini, venuti a passare qualche ora in una forma di intrattenimento che sta fra il parco di divertimenti (Disneyland fra l’altro è presente a Tokyo) e il museo interattivo. Chiamare questo tipo di allestimenti il luna park del XXI secolo è però riduttivo, per l’accezione che abbiamo oggi del termine divertimento nei contesti culturali, ma la ricerca estetica e i pubblici non sono così distanti da quelli dei musei tradizionali.

A poca distanza dalla sede di teamLab, passando per robot giganti e svettanti grattacieli futuristici, ha sede il Miraikan, Museo della scienza emergente. Dalla forte vocazione divulgativa e didattica, il Miraikan presenta regolarmente ai suoi (tanti) visitatori alcune performance del robot Asimo (correre, saltare su un piede, fare una serenata alla Terra, tirare un calcio al pallone); una riproduzione fedele della stazione aerospaziale internazionale per vedere come vivono gli astronauti; ricostruzioni e animazioni per spiegare come funzionano le cellule, quali sono i pericoli della Terra e quali comportamenti adottare per limitarne i danni, come si compone il DNA, come si spostano i big data nel mondo, ecc. Un pubblico di diverse età, potenzialmente lo stesso di teamLab, popolava le sale, interagiva negli spazi appositi attraverso un apparato davvero ricco e curato di ambienti interattivi, riproduzioni in scala, infografiche per provare a comprendere la complessità crescente del mondo in cui viviamo.

Una delle cose più curiose è stato vedere all’ingresso visitatori che provavano l’Uni-CUB della Honda, una specie di sgabello motorizzato per la mobilità personale che potrebbe rappresentare una modalità di visita per i musei di domani, sia per gli anziani che per i visitatori semplicemente in cerca di comodità.