Cenerentola a scuola. La storia dell’arte nei licei nel libro di Susanne Adina Meyer

io ho veduto sempre la Storia dell’Arte far la parte di Cenerentola, e ancor la vedo farla, nonostante che sia stata chiamata alla mensa scolastica. Ma coraggio che la Storia dell’arte, come Cenerentola, finirà per essere la prediletta, la favorita dalla sorte!

Cento anni sono trascorsi da questo commento di Adolfo Venturi, preso da una sua lettera all’allieva Mary Pittaluga del 1923, con cui si apre il volume Cenerentola a scuola. Il dibattito sull’insegnamento della storia dell’arte nei licei (1900-1943), Eum Edizioni, di Susanne Adina Meyer, professore associato di Museologia e critica artistica e del restauro presso l’Università di Macerata, dove insegna Storia della storia dell’arte e Storia del restauro. Un testo che, come recita il titolo, ricostruisce le intrecciate vicende che hanno portato all’inserimento della disciplina nelle scuole, ufficialmente proprio nel 1923, permettendoci oggi di poggiare la professione di docente su una lunga ‘tradizione didattica’, una peculiarità della scuola italiana da molti ammirata fuori dai confini nazionali.

Il tema è assai attuale: per la crescente attenzione che si sta rivolgendo al comparto scuola e alla didattica, alla formazione degli insegnanti, per la sempre mutevole situazione del reclutamento del corpo docente, per le proposte che saltuariamente si affacciano di inserire la disciplina in tutti gli ordini di scuole superiori, in forza del nostro immenso patrimonio storico artistico che ci invita, come cittadini, a conoscerne almeno l’alfabeto, per citare ancora Venturi.

Il libro si articola in una prima parte che ricostruisce il dibattito sull’insegnamento della materia, dalla proposta avanzata da Adolfo Venturi e Domenico Gnoli al Congresso storico italiano di Firenze del 1889 di istituire una cattedra di storia dell’arte nelle università (dove, quando presente, era associata all’insegnamento di estetica). La proposta non era scontata, essendo gli Istituti d’arte e le Accademie di belle arti i luoghi preposti a ogni insegnamento in materia artistica, sia pratica che teorica. La lunga discussione sull’argomento vedeva intanto l’istituzione di corsi liberi di storia dell’arte nei licei classici, la discussione e le sperimentazioni che ne emersero sui temi da includere nei programmi (inizialmente stesi da Ugo Ojetti), i materiali di lavoro come i sussidiari o le diapositive (queste ultima hanno accompagnato le lezioni in aula fino agli anni Novanta) e l’ampliamento agli altri corsi di studio. Ma ne rimanevano sempre esclusi gli specialisti che uscivano dalle scuole di perfezionamento e dalla Scuola italiana di Archeologia.

Così, tra articoli di giornale, commissioni, congressi, circolari e leggi, la storia dell’arte viene introdotta dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile con Regio Decreto dell’8 febbraio 1923. Interessava il triennio del liceo classico e il liceo femminile, estesa poi ad altri indirizzi. Lo stesso anno sorge l’Istituto d’Arte di Modena, intitolato all’ex studente Adolfo Venturi, da un quarto di secolo professore di Storia dell’Arte presso l’Università di Roma, l’unica cattedra in Italia. Tra cambiamenti di gusto, aggiustamenti di programmi chiamati dalle avventure colonialiste, con l’arrivo di personalità come Roberto Longhi, Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi, nasce l’Istituto centrale per il restauro, l’Ufficio per l’Arte Contemporanea e nella didattica si sposta l’attenzione su competenze di metodo, come ad esempio saper guardare un’opera d’arte, e sulla stesura di manuali che possano rispondere a questa esigenza con l’ausilio di riproduzioni fotografiche.

Nella seconda parte del libro, una ricca antologia di testi restituisce la vivacità del dibattito dalla voce dei protagonisti e delle protagoniste; fra tutte, l’articolo di Enrico Panzacchi sul Corriere della Sera (settembre 1899), critico, giornalista, docente di estetica e storia dell’arte moderna a Bologna, che si apre con una diplomatica considerazione:

Sono tutti d’accordo nel riconoscere che l’Italia, fra le nazioni, è quella che possiede il più ricco patrimonio d’arte; ma è anche molto probabile che la cultura artistica del pubblico italiano non sia proporzionata a tutta questa ricchezza.

Meyer è riuscita a documentare capillarmente il percorso di ‘Cenerentola’ nell’istruzione lungo la prima metà del Novecento, rendendo accessibili (e digeribili) documenti di non facile accesso e comprensione, disseminati nei fondi e negli archivi, eterogenei per natura e argomenti. Così, leggendo il testo nelle sue varie sezioni, ci restituisce l’infinita serie di singole azioni, eventi storici, mutazioni di sensibilità e personaggi che, lavorando soprattutto nelle aule, hanno portato agli attuali curricula scolastici.

Molte delle questioni che cominciano a essere dibattute alla fine dell’Ottocento sono ancora aperte, anche se oggi godono di appoggi internazionali che sono divenuti capisaldi, come la Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa, approvata in Portogallo nel 2005, aggiornata nel 2011 (ratificata in Italia nel 2013), che recita

La conoscenza e lo studio del Patrimonio storico artistico rientrano nel diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale e al lavoro, come definito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

e la «road map» per la cultura artistica dell’Unesco indica che

l’educazione all’arte e alla tutela dei beni artistici delle nazioni si realizza “obbligatoriamente” nelle scuole pubbliche con la partecipazione di insegnanti preparati e aggiornati

Giocando con il titolo, possiamo dire che Cenerentola è divenuta una principessa, ma la corona resta incerta.