Maestri si nasce: un ricordo di Maurizio Calvesi

Lo storico dell’arte Maurizio Calvesi avrebbe compiuto 93 anni il prossimo 18 settembre: era nato a Roma nel 1927, ed è venuto a mancare il 24 luglio 2020 nella sua città natale, in cui aveva insegnato per tanti anni Storia dell’arte moderna alla Sapienza, dove aveva diretto la Calcografia Nazionale, dove aveva curato mostre importanti, dagli anni Sessanta ai Duemila.
Calvesi ha fatto parte di quella generazione di studiosi e studiose – fra questi Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Eugenio Battisti, Marisa Volpi, Corrado Maltese – per cui era impensabile tracciare dei confini nello svolgimento dell’arte e di conseguenza della ricerca e dell’insegnamento. 
Non solo confini cronologici fra secoli (Calvesi si è occupato di arte dal primo Rinascimento al XX secolo), ma anche confini che separano ambiti e tecniche: l’architettura, come la fotografia, la storia della stampa, il video e il computer, erano tutti elementi presenti e risonanti nella sua considerazione del presente e del passato. Così come erano tutte connesse le professioni della storia dell’arte: la tutela dei beni culturali, la pubblicistica e la divulgazione di qualità, la critica militante, la curatela, l’expertise, la didattica.


Un’antologia sfaccettata di memorie di allievi, allieve, artisti si trova a questo link della rivista About Art.
E un cameo sul suo metodo – Ogni lezione era una rivelazione – si legge a firma di Irene Baldriga in questo numero dell’Osservatore Romano (25 luglio 2020).
Grazie al suo metodo, Calvesi ha indicato una strada maestra, non solo negli studi verticali che ha condotto sulle figure e i periodi (fra questi Piero della Francesca, Dürer, Michelangelo, Caravaggio, Piranesi, Boccioni e il Futurismo, Duchamp, de Chirico e la Metafisica) ma anche per la rete di connessioni orizzontali che ha tessuto fra arte moderna e contemporanea, unendo a volte punti lontani (Dürer e Duchamp), a volte più prossimi (Prampolini – Burri; Futurismo – Pop Art), a volte proponendo dei loop nel tempo (la Pittura Anacronista, che ha sostenuto negli anni Ottanta).

Basterebbero i titoli delle sezioni delle Biennali di Venezia da lui curate in quello stesso decennio per sintetizzare questa visione unitaria e interrelata: nel 1984 Arte allo specchio, “una riflessione sul rapporto dell’arte contemporanea con quella del passato remoto o recente”, dove si intrecciavano i fili delle avanguardie storiche e quelli delle neoavanguardie, il detour degli Anacronisti, e la videoarte; nel 1986 Arte e Scienza, un percorso dalle Wunderkammern ai mondi elettronici, un omaggio alla capacità trasformativa dell’arte, dalla tradizione alchemica alle manipolazioni di linguaggi e media.
In più occasioni, Calvesi ha invitato a diffidare di chi trova inconciliabili le figure del critico che sostiene e promuove artisti coevi e dello storico intento alla ricerca, ribadendo – con un chiasmo eloquente che si ritrova anche negli scritti di Marisa Volpi – che l’arte del passato illumina il presente e quella del presente illumina il passato.
Il dialogo fra i tempi e le modulazioni dell’attività storico-artistica emerge anche nella sua direzione – dal 1993 al 2000 – del Museo Laboratorio della Sapienza (Mlac): durante quel periodo, la curatela delle mostre fu affidata ciclicamente a giovani studiosi e critici, legando il magistero in aula con un’esperienza concreta e situata.

Ritratto dello storico dell’arte da piccolo
Proprio un’esperienza del genere – un’esperienza incarnata – è all’origine della formazione di Calvesi che da bambino si è affacciato al mondo dell’arte per il tramite di due vecchi maestri. Prima Giacomo Balla, che viveva nello stesso palazzo in via Oslavia: l’immagine in apertura di questo post è il ritratto che la figlia dell’artista, Elica, fa nel 1934 del piccolo Maurizio, con un aiuto del padre per la resa degli occhi acutissimi,  e poi Filippo Tommaso Marinetti, conosciuto proprio grazie a Balla. Incoraggiato da loro, nei primissimi anni Quaranta, Calvesi si dedica a componimenti poetici di taglio futurista e fa parte del gruppo degli “Aeropoeti Futuristi Sant’Elia”.
Questa precoce dimestichezza con la poetica del Futurismo lo  porterà a comprendere, e poi a promuovere con altro sguardo l’avanguardia futurista stessa, a cogliere nelle tavole parolibere, negli assemblaggi, nelle ricostruzioni, il potere trasformativo del linguaggio che poi riconoscerà – cambiati i contesti – nelle neo-avanguardie internazionali (Le due avanguardie, 1966). Mentre l’attitudine verso la poesia, anche se messa in secondo piano dallo studio, non si dissolve mai e torna nel 2011 nella raccolta Tot epigrammi di nero (Edizioni L’Obliquo, Brescia).
In quei primissimi anni Quaranta in cui si lega agli “aeropoeti” futuristi, Calvesi è impegnato nella scrittura anche di altre prove poetiche, brevi componimenti sotto il segno della doppia lettura, della segmentazione delle parole, della sostituzione, della combinazione  – indovinelli, sciarade, frasi a cambio, anagrammi – che vengono pubblicati e spesso premiati, fra il 1942  e il 1943, in alcune riviste di stampo enigmistico.

Li firma con diversi pseudonimi, Marcus, Niso, Calvino (nell’immagine un ex libris dell’artista Mario Bazzi pubblicato nella rivista “Fiamma Perenne” nel 1954): come non pensare ai futuri studi che Calvesi adulto avrebbe riservato a Marcel Duchamp e ai suoi pseudonimi, ai giochi anagrammatici sul nome, ai depistaggi creativi?
Oltre che partecipare alla vita delle riviste enigmistiche come autore e solutore, Calvesi, nel 1946, tiene delle rubriche di giochi con le parole e con le immagini anche su “La Fiera Letteraria”: una delle sue crittografie “Decido di mio arbitrio” (6, 8 = 6, 2, 6) soluzione “libero delibero” e dunque Libero De Libero (critico letterario e d’arte) è ancora un esempio nel genere.
Intanto, Calvesi si è iscritto all’Università e nel 1949 si laurea con Lionello Venturi con una tesi sul maestro di Caravaggio, il pittore Simone Peterzano.
Ha inizio per lui la carriera nel campo della ricerca storico-artistica, della tutela, della critica, della didattica. L’avventura enigmistica volge al termine, anche se egli stesso, in diverse occasioni, ha affermato che questa sua passione giovanile era il segno di una “precoce e indubbia attrazione per l’enigma” e per il ”significato riposto delle opere d’arte”: un interesse che l’avrebbe spinto a indagare artisti, situazioni, soggetti ermetici ed enigmatici. L’Hypneratomachia Poliphili, il Sacro Bosco di Bomarzo, Piranesi, de Chirico e ancora Duchamp. Nel suo libro del 1975, Duchamp invisibile, Calvesi propone una sorta di “soluzione” dell’opera più misteriosa dell’artista francese, il così detto Grande Vetro, che è – dice Calvesi – “intrinsecamente enigmistico”, leggibile su due linee di senso (Duchamp invisibile, 1975).
Due passioni adolescenziali hanno così non solo contribuito a formare gli interessi e il metodo, ma hanno anche agito come sandbox, spazi di gioco e sperimentazione, per uno studioso che ha lasciato interpretazioni profonde e originali di tanti snodi e protagonisti della storia dell’arte.
AS

Qui il link alla Nota biografica nella rivista “Storia dell’arte”, di cui Calvesi fu redattore, direttore e – per un periodo – editore.