La classe virtuale: un esempio di app per la didattica

La classe virtuale è un ambiente di lavoro in rete dove, grazie a specifici programmi, docenti e alunni possono caricare materiali, postare commenti, svolgere test e compiti, indipendentemente dalla presenza fisica in aula delle persone coinvolte. Sfruttata inizialmente per la formazione a distanza e l’e-learning, oggi la classe virtuale è una prassi consolidata in molte scuole.

Diverse piattaforme mettono a disposizione questo spazio virtuale: tra le più diffuse in ambito scolastico vi sono Edmodo, WeSchool, Google Classroom, in ambito universitario e per la formazione professionale Moodle. Anche le case editrici dei manuali hanno creato sui loro siti ambienti online dedicati. In alcune classi del nostro Istituto, il liceo artistico Angelo Frammartino di Monterotondo (Roma), abbiamo adottato quattro anni fa, grazie all’animatore digitale e al supporto di una rete internet adeguata, la piattaforma di Google per la scuola chiamata G Suite for Education. Si tratta di una serie di software, suite appunto, che permettono di svolgere online attività didattiche. Tra questi il più usato è Classroom, la classe virtuale vera e propria, a cui ogni studente e ogni docente accede grazie a un account email della scuola. Per gli studenti minorenni il rilascio della email avviene previa autorizzazione scritta dei genitori.

Come molti docenti ho usufruito delle classi virtuali sia come insegnante che come studente di master, nei corsi di specializzazione o per l’aggiornamento professionale. Credo nel valore relazionale della professione di docente e la didattica virtuale ha saputo, nella mia esperienza, integrarsi con quella in presenza senza impoverire il rapporto docente/alunni. Ma certamente ho dovuto modificare il mio metodo di lavoro. Vediamo in che modo.

Da insegnante, il primo approccio è stato critico. Una volta compresi i passaggi da effettuare, c’è voluta più di un’ora di lezione per fornire a tutti gli studenti un account e una password, salvaguardando la privacy dei dati personali, e cercando di superare il divario tecnologico fra i dispositivi presenti in classe (device più veloci e performanti, altri senza connessione, o anche nessun device a disposizione). In ogni classe si verificano poi almeno un paio di problemi tecnici da risolvere. La modalità BYOD, Bring Your Own Device (gli alunni utilizzano i loro device) si presta all’uso della classe virtuale, ma non per questo si verificano meno problemi che con i dispositivi forniti dalla scuola.

Un’altra difficoltà riscontrata risiede nella percezione degli studenti di un’invasione dello spazio privato fuori dall’orario scolastico, sia che usino i loro strumenti o meno, e un carico di impegno aggiuntivo ai compiti a casa, come se i compiti assegnati con la classe virtuale non fossero davvero valutati. Occorre ricordare continuamente agli studenti di prendere visione dei commenti e delle assegnazioni, postare i loro lavori e, soprattutto, incoraggiarli a lavorare in autonomia. Un po’ come succede con il metodo della flipped classroom, per cui le classi virtuali sono molto utili, ci vuole tempo e pratica perchè gli alunni accettino questo ‘ribaltamento’ degli spazi e dei tempi della didattica e considerino un compito in ambiente virtuale equivalente a un test scritto o a un’interrogazione.  E’ faticoso sia per il docente che per gli studenti allontanarsi dalle modalità di verifica consolidate, ma le attività formative multidisciplinari che si stanno facendo strada nella scuola richiedono strumenti nuovi e metodi integrativi alla didattica tradizionale.

Diciamo che a un certo punto la nave è varata: gli studenti hanno tutti un account funzionante, sono tutti all’interno della classe virtuale, voi avete postato un messaggio di benvenuto o una domanda semplice e qualcuno ha già risposto. Arrivati a questo punto l’utilizzo della piattaforma è piuttosto intuitivo. I docenti inizialmente caricano i primi materiali (immagini, pdf, video, url, doc), o anche solo postano commenti; agli studenti viene notificata la presenza dei nuovi post e possono interagire comunicando con i professori anche a distanza e scambiando commenti sulla chat con i compagni. Se questa riesce a diventare un’attività costante nel tempo e cospicua rispetto al monte ore a disposizione, e se riuscite a far capire ad alcuni di loro che non si devono sentire offesi se non avete risposto subito al post pubblicato all’una di notte, la classe virtuale può dirsi un’esperienza avviata.

Tra i vantaggi, è subito evidente l’immediatezza e l’informalità del tono, che può aiutare nella comunicazione con alunni timidi, o con DSA, per i quali a volte utilizzare un software è più facile che scrivere a penna o parlare a voce. E’ un efficace strumento per stimolare l’alfabetizzazione informatica di docenti e alunni e, forse l’aspetto più rilevante, la classe virtuale si presta come strumento essenziale per i progetti di ampio respiro: UDA, bandi, concorsi, progetti interni alla scuola. Due aspetti pratici non secondari: permette la collaborazione tra docenti che per l’orario personale magari non riescono a incontrarsi agevolmente a scuola, e si risolve il problema delle assenze degli alunni grazie alla partecipazione a distanza. L’ambiente virtuale diventa quella piazza dove nel confronto si diluisce la gerarchia docente/discente a favore di una collaborazione orizzontale e dinamica.

 

All’interno del corso di Didattica e metodologia dell’insegnamento in Storia dell’arte alla Sapienza Università di Roma (a.a. 2018/2019) la classe virtuale è stata sperimentata per esoneri ed esercitazioni. Si assegna un compito e si può indicare un limite (giorno e orario) di scadenza per la consegna. Una volta inviati dagli studenti, gli elaborati sono conservati in uno spazio cloud dove è possibile recuperarli in qualunque momento. Se si preferisce si può stamparli per correggerli su cartaceo, o correggerli online.

Schermata dei lavori assegnati.

 

Sull’uso delle classi virtuali ogni docente ha sperimentato di persona aspetti positivi e/o negativi. Nel mio caso ho capito che quando una classe virtuale non ha funzionato il problema non è stata la tecnologia, ma una mia mancanza (non averla saputa veicolare adeguatamente, non averla inserita nella prassi quotidiana) o problemi di comunicazione con i colleghi (per es. non aver chiarito prima le aspettative e le finalità, o come gestire lo spazio virtuale e le fasi del lavoro).

Le tecnologie per la didattica avanzano a grande velocità, grazie a strumenti e connessioni più performanti e agli investimenti dell’Unione Europea in questo campo. Già da qualche anno nel mondo si sperimenta l’ologramma come tecnologia didattica del futuro. Gli studenti di Canberra, dell’Ohio, delle isole Samoa già fanno esperienza di didattica ologrammatica (si può chiamare così?). Ecco, quella è la prossima fase della classe virtuale!

 

 

Immagine di copertina: schermata home della European Schoolnet, network di 34 Ministeri europei dell’Istruzione.