L’arte (e la scienza) di mettere i voti. La docimologia nella didattica

Un aspetto importante dell’insegnamento e della formazione è la fase della valutazione.

Se nell’ambito universitario è il momento conclusivo di un ciclo di lezioni, a scuola, dove vige il sistema delle verifiche periodiche, ha anche valenza di diagnosi del percorso ancora in fieri. L’arte di mettere i voti a scuola si chiama docimologia, disciplina che studia i modelli di valutazione nel campo della formazione e dell’educazione.

In questo ambito la normativa richiede trasparenza e tempestività e i corsi di aggiornamento in materia sono in aumento. Un recente articolo sul sito Tecnica della scuola ha specificato, ricordando i chiarimenti del Garante della privacy, che a scuola il voto è pubblico e secondo la normativa (art. 1 comma 2, D.P.R. 2009 n. 122) deve essere comunicato e registrato in tempo reale. Non solo, i criteri della valutazione devono essere noti prima della verifica. E’ buona prassi condividere con gli studenti a inizio del percorso formativo la griglia di valutazione adottata; online se ne trovano moltissime con indicatori e punteggi, e ognuno può adottare la sua e personalizzarla.

La condivisione degli indicatori della valutazione introduce alla regola aurea della docimologia, riportata da Guido Benvenuto nel suo manuale Mettere i voti a scuola. Introduzione alla docimologia, Carocci editore*, secondo cui:

per ogni funzione e/o obiettivo specifico della valutazione va impiegato uno strumento di verifica omologo o congruente con quella funzione e/o con quell’obiettivo

La frase indica che il valutatore deve adattare il tipo di verifica all’obiettivo della stessa: certificare l’acquisizione di competenze o conoscere la situazione di ingresso di una classe richiedono modalità di indagine diverse.

Se in passato la misurazione dei risultati si basava principalmente sull’esperienza, il buon senso, talvolta l’intuito (e perchè no, anche il sentimento), oggi è subentrata nel mondo dei compiti, dei test, delle interrogazioni una maggiore articolazione delle verifiche e si fa strada la prassi di condividere gli obiettivi formativi con gli studenti prima della data della verifica stessa. Le motivazioni sono diverse: la didattica è sempre più partecipata e multiforme (per esempio, come si valuta un lavoro di gruppo? e la formazione a distanza? e un laboratorio sperimentale?); il rapporto con gli studenti è (o dovrebbe essere) di tipo collaborativo e dialogico; e come recita lo Statuto degli studenti e delle studentesse al punto 4 si punta molto sull’abilità di autovalutazione: “lo studente ha inoltre diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento”. Un ultimo aspetto, non meno importante, riguarda molti dei ricorsi presentati dai genitori che hanno per oggetto proprio le valutazioni.

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Immagine tratta dall’articolo di Focus.it Da quando c’è la pagella? Storia del documento più traumatico.

La legge che disciplina l’attribuzione dei voti è assai datata: l’art. 79 del R.D. 653/1925 dice che “i voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni.”

Se il docente ha libertà di giudizio nel merito della sua materia di competenza, tale giudizio può essere messo in discussione se non è motivato o se il numero di verifiche non è congruo al numero di ore della materia.

La docimologia non nasce però solo da questioni normative. La capacità di giudizio del formatore può essere condizionata da una serie di distorsioni che Guido Benvenuto riassume in:

  • l’alone, per es. farsi condizionare dal modo di parlare o di vestire dello studente;
  • il contagio, l’influenza esercitata su di noi dai giudizi dati dai colleghi;
  • il contraccolpo, ovvero la modifica della propria didattica in vista degli esami finali (specialmente per le classi quinte);
  • la distribuzione forzata dei risultati, quando le nostre aspettative sulla distribuzione dei voti in una classe, per es. in percentuali, modificano l’assegnazione dei voti per i singoli;
  • Pigmalione, quando gli studenti si adeguano alle aspettative del docente (non per forza in senso negativo);
  • stereotipia, quando si tende ad assegnare la stessa valutazione a uno studente, indipendentemente dalla qualità della singola prova, per continuità;
  • successione/contrasto, se la nostra valutazione è condizionata dall’esito della prova dell’alunno/a precedente (il terrore degli studenti di essere interrogati dopo il più bravo o la più brava della classe).

La docimologia interviene dunque per limitare tutte queste distorsioni valutative, a cui si aggiungono fatalmente i motivi personali che giorno per giorno possono condizionare il nostro stato d’animo. Credo che una valutazione del tutto oggettiva non sia possibile nella didattica basata sulla relazione tra docente e discente e, come diceva don Milani, non c’è nulla di più ingiusto di fare parti uguali fra disuguali. Ma essere consapevoli dei rischi e dei limiti della nostra capacità di giudizio ci aiuta a non incorrere in errori valutativi, ad avere un approccio partecipativo con la classe e certamente a evitare possibili problemi legali.

 

* La letteratura sulla docimologia è molto estesa. Qui abbiamo preso come riferimento il testo di Guido Benvenuto nell’edizione 2015 [2003].

 

MSB