The Next Rembrandt. Esperimenti di AI e Storia dell’arte.

Durante una lezione del corso di Didattica e metodologia dell’insegnamento in Storia dell’arte alla Sapienza è stato nostro ospite il dr. Matteo Viscogliosi della Fondazione Mondo Digitale di Roma, con cui lo scorso anno realizzammo – su suggerimento degli studenti – il ‘passepartout’ ispirato a Boetti.

Parlando di ricadute del digitale nella didattica della Storia dell’arte abbiamo visionato il video sul progetto The Next Rembrandt. Si tratta della creazione tramite intelligenza artificiale di un ritratto che simula con estrema accuratezza lo stile di Rembrandt, quasi come un lavoro che potremmo virtualmente aggiungere al catalogo ragionato dell’artista. Il lavoro è stato supportato da ING e Microsoft con la consulenza dei principali musei olandesi che detengono opere di Rembrandt, fra cui il Mauritshuis e la casa museo di Rembrandt.

La domanda che è nata durante la presentazione, posta da una studentessa, è stata: a che pro?

Nella discussione che ne è seguita sono emerse alcune risposte, che riportiamo sinteticamente come appunti sulla compenetrazione possibile fra studi di Storia dell’arte e intelligenza artificiale. Un’operazione di questo tipo:

  • ha ricadute in campo storico-artistico. Pensiamo all’analisi di dati che già naturalmente estrapoliamo quando vogliamo leggere e descrivere un dipinto, qui compiuta su decine di ritratti del maestro olandese: la categoria del soggetto, che è anche il profilo sociale dei committenti di Rembrandt (uomo caucasico tra i 40 e i 50 anni); il costume della borghesia del tempo (cappello ad ampie falde, abito nero, grande collare bianco, guanti); la composizione della tela (posa di tre quarti, sguardo rivolto verso l’esterno a destra, sfondo neutro); osservazione della tecnica, come la stesura del colore (pastosità del pigmento, direzione della pennellata, texture della superficie dipinta);
  • fornisce informazioni utili per la conservazione e il restauro, come fanno i calchi in gesso per le sculture;
  • riproduce, a favore della memoria collettiva, opere perdute, trafugate, manomesse, rubate, come nel caso – ricordato da una studentessa – della replica in 3D del Concerto di Vermeer, un altro capolavoro olandese, rubato dall’Isabella Stuart Gardner Museum di Boston nel 1990 insieme ad altre opere in collezione e ancora non ritrovato. Il lavoro di riproduzione digitale è stato eseguito, nel caso di Vermeer, dalla Factum Arte.
Al lavoro sulla riproduzione del capolavoro rubato di Vermeer (foto Factum Arte).
  • recentemente (2020) ha dimostrato di poter ricostruire le immagini di opere esistenti sotto celebri tele, come in questo caso di un dipinto di Picasso, la Miséreuse accroupie, conservato all’Art Gallery dell’Ontario, che si è scoperto dall’esame a raggi X essere stato realizzato per scarsezza di mezzi sopra la tela di un giardino di Barcellona di Santiago Rusiñol (grazie a Laura Leuzzi per la segnalazione).
  • serve come esercizio per istruire l’AI, che impara ad analizzare e leggere le opere. Come da bambini copiamo le forme delle lettere per imparare a scrivere, e da grandi copiamo le opere d’arte per osservarle meglio, così l’intelligenza artificiale ‘copia’ le tele esistenti di Rembrandt per trarne caratteristiche e ricorrenze, in una scala quantitativa di dati che ormai non è più gestibile dall’essere umano.

Come ha commentato poi uno studente ricordando le opere di Michael Noll, ricercatore informatico considerato tra i pionieri delle immagini computer-generated negli anni Sessanta, l’opera è solo catalizzatrice di un processo che è la vera opera creativa.

Pensiamo al ritratto di Edmond de Belamy, un ritratto in stile XIX secolo creato dal collettivo Obvious tramite intelligenza artificiale e venduto all’asta da Christie’s a prezzi da capogiro. L’algoritmo autore del dipinto è stato addestrato con operazioni su vasa scala di dati come quella di The Next Rembrandt, che ha prodotto un’opera d’arte (la possiamo ancora chiamare così o forse servirà una nuova parola?) suggestiva come una tela riemersa dal passato e carica di mistero. L’operazione Edmond de Belamy nasce dal mondo delle Generative Adversarial Networks (GAN), Rete Generativa Avversaria, in inglese  (GAN). Il processo di generazione delle immagini e il loro ‘livellamento’ è ben spiegato nel video del progetto Latent Compass, segnalatoci da Massimo Conte. Scrive Alice Barale nel recente volume da lei curato Arte e intelligenza artificiale (Jaca Book):

una coppia di reti neurali che vengono addestrate a competere l’una contro l’altra. Una è chiamata generator e ha il compito di produrre nuovi dati, l’altra discriminator e apprende come distinguerli da quelli creati artificialmente. Si tratta, in sostanza, di un gioco a guardie e ladri, come lo descrive anche il suo giovane inventore, l’informatico e ricercatore statunitense Ian Goodfellow: il modello generativo agisce come un falsario, quello discriminativo deve individuare i falsi. Attraverso questo dialogo, una GAN riesce così a elaborare un numero impressionante di dati, sfuggendo al controllo umano, con risultati del tutto inaspettati. È possibile usare le GAN, ad esempio, per creare fotografie di persone che non esistono, assolutamente realistiche, partendo da un numero adeguato di immagini reali.

 

Il ritratto di Edmond de Belamy (da Artribune)

Le reazioni al dipinto venduto da Christie’s sono state le più varie. Se le tecnologie possono tradurre l’immaginazione in realtà, pongono anche questioni spinose, quale il possibile uso fraudolento dell’immagine, che se fruita solo online può trarre in inganno gli osservatori meno informati; la possibilità, un domani, di poter creare anche fisicamente un falso che sfidi le abilità degli esperti (qui la casistica è lunga), ma anche degli strumenti diagnostici, capaci di datare i materiali e quindi stabilire una datazione.

A noi è sorta un’altra considerazione in merito all’interazione tra tecnologie avanzate e studio delle opere d’arte: con la possibilità di ingrandire enormemente anche i più piccoli dettagli di una tela, di un affresco, di un manufatto, chi guarda si ritrova immerso nella meraviglia dell’esplorazione grazie a una capacità di lettura che supera di gran lunga quella possibile al suo creatore. In pratica, io oggi vedo nei ritratti di Rembrandt molto di più di quello che ha visto Rembrandt stesso. E’ legittimo usare questa sproporzione visiva e cognitiva per leggere le intenzioni del creatore dell’opera? Esiste un rischio di sovrinterpretazione dei dati?

Le questioni sono aperte e riflettono lo stato di processi in progress. Noi rimaniamo orecchi e occhi – è il caso di dire – wide open.

 

PS

Se l’Intelligenza Artificiale vi appassiona e volete saperne di più, qui un corso online gratuito molto ben fatto, creato da Reaktor e dall’Università di Helsinki per tutti. È da poco disponibile in italiano, grazie alla Fondazione Cotec che si avvale della partnership accademica dell’Università degli Studi Roma Tre con il sostegno del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

MSB

 

Immagine di copertina: still del video The Next Rembrandt.

Ultimo aggiornamento: 6/7/2021